INTRO ALTERNATIVA
«Se sognassi per 12 ore al giorno di essere una farfalla, non sarei diverso da una farfalla che sognasse di essere un uomo.» (Herbert Allen Giles, "Chuang Tzu", 1889) Rimbalzando come la pallina di un flipper tra fantasmi digitali che infestano le algide memorie di un computer, il protagonista smarrisce sè stesso in un labirinto mentale in cui viene bombardato di situazioni-limite volte a destabilizzarlo: meditazioni profonde, droghe psicotrope, sedute ipnotiche, incubi, stati di anossia (quando manca l'ossigeno e il cervello va in tilt, entrando in uno stato ipnagogico in cui ciò che si immagina viene preso per reale), bruschi risvegli dal coma.. Forse qualcuno vuole scassinare la sua mente. Ma perchè? Non ricorda più chi è, che lavoro fa, e neppure chi ama (era fidanzato, sposato, vedovo o..?), eppure un vago intuito gli suggerisce che esiste una sorta di nesso costante in sottofondo - e che tutto ruota intorno ad un'unica incombente domanda: "Che cosa è reale e cosa non lo è?". Giungerà al punto in cui la realtà stessa scompare come un mandala spazzato via. Oltrepassandolo consapevolmente, il mondo (che è solo percezione) si disintegra e lui viene condotto aldilà della propria stessa vita, oltre tutti i limiti gnoseologici a cui è soggetta la natura umana - riuscendo a trovare la chiave per comprendere i paradossi più estremi, incluso quello di rendersi conto di essere oramai..

SE DESÌDERI DARGLI UNA RAPIDA SCORSA..
"AAAAARGH!", gridò Aaron svegliandosi di soprassalto e cadendo dal letto. Altro che direttore, della VR & A! Era 'solo' il loro miglior programmatore di realtà virtuale, assillato da sogni realistici quanto i mondi che creava nelle sue simulazioni computerizzate. Suonò la sveglia: BUZZZZ! Si alzò e la spense: "Ho capito, sono le 07:30, ora di prepararsi per andare in ufficio!". Aprì la finestra e spalancò le persiane, stiracchiandosi inspirando a pieni polmoni la frizzante aria del mattino. Era una bellissima giornata: nuvole ovattate, bianchissime, si stagliavano contro un cielo straordinariamente azzurro, limpido e terso. Ancora in pigiama si sedette alla scrivania, aprì il diario e guardò la sveglia per leggervi la data: "Lunedì 11 Febbraio 1650". La scrisse in alto a destra sulla prima pagina bianca del diario, ma giunto all'anno si fermò: "1650? Credevo che me l'avessero sostituito, quell'integrato difettoso! Ah, ma mi sentiranno, oggi, in negozio!". Ci pensò lui, a correggere, e datò "Lunedì 11 Febbraio 2008". Aaron trascrisse accuratamente quanto si ricordava di aver sognato: gli ci vollero quasi venti minuti per assicurarsi che nessun particolare gli sfuggisse: "Ecco fatto! Così il mio psicoterapeuta anche per oggi avrà un pò di materiale onirico da interpretare!". Come ogni programmatore di realtà virtuale, anche lui era per legge tenuto a sottoporsi ad osservazione psichiatrica regolare: e, dato che il suo stipendio dipendeva anche dal grado di collaborazione che forniva al suo terapeuta, è presto spiegata la meticolosità con la quale svolgeva quel compito non appena alzato. "Questa volta sono curioso anch'io: mai fatto, un sogno così. Realistico e crudo, ma anche per certi versi assurdo. Tipo quella psicologa fissata con le sue lavatrici! Bah!", disse, chiudendo il diario. Fece per andarsene in bagno quando, giunto davanti alla porta della sua camera da letto, di colpo fece buio: fuori, una giornata di sole si era improvvisamente tramutata in una notte buia. La cosa più strana erano le nuvole: erano diventate verdi e luminose come i caratteri di un monitor monocromatico a fosfori, e confluivano verso un unico punto. Nel cielo, il sole e la luna affiancati, di color rosso sangue. "MIO DIO! La fine del mondo!", gridò terrorizzato. Guardò giù dalla finestra: per la strada tutti si comportavano naturalmente, come se non stesse accadendo nulla di strano. Non badavano nemmeno a lui, che strillava come un forsennato sporgendosi al davanzale. "Che stia impazzendo?", si domandò Aaron colto da sospetto. Le nuvole, nel frattempo, continuavano a convergere l'una verso l'altra, spinte da correnti di vento impossibilmente contrastanti. Aaron vide formarsi davanti a sé una nuvola gigante: verde fosforescente, dalle fattezze di un volto umano.. "Ma quello lo conosco! È il viso di O'Brien, il mio direttore!": quasi. Era la rappresentazione del suo Attore in realtà virtuale: nessuno l'aveva mai incontrato personalmente. O'Brien, che si librava nel cielo, soffiò sulla terra e, incredibile a vedersi!, spazzò via tutto il paesaggio. E quando dico tutto voglio proprio dire TUTTO: non restò altro che un infinito spazio bianco, oltre a O'Brien e il palazzo di Aaron. Il poveretto era comprensibilmente sconvolto, e svenne. Si riprese subito, per trovarsi immerso in quel "nulla bianco" in compagnia di O'Brien-nuvola e basta: anche casa sua si era dissolta. "I miei complimenti, Aaron!", si congratulò quello. Aaron ammutolì, non riuscendo a darsi una spiegazione razionale di quanto gli stava accadendo. O'Brien concentrò la sua immagine: restò un viso di dimensioni naturali, ologramma verde sospeso nell'aria. "Nessuno fino ad ora aveva mai resistito quanto te per farsi disarmare l'Ego! Mi ci sono voluti oltre quattro minuti per farti dubitare della tua stessa essenza.. della tua identità, della tua stessa esistenza!". Aaron non capiva, ma la sua curiosità esigeva risposte: "Cosa vuoi dire?", osò domandare, titubante. "Accendi il tuo televisore e guarda tu stesso!", gli rispose O'Brien. "E dove lo trovo il mio televisore, in questo vuo.."; Aaron stava dicendo un'idiozia: si trovava proprio di fianco ad esso, nel suo appartamento, ricomparso. O, forse, non era mai scomparso. Come dirlo, visto che non l'aveva visto ricomparire? Si precipitò alla finestra, nella speranza che.. Come non detto: era ancora circondato dal nulla. Oltretutto, del suo palazzo restava soltanto il suo appartamento, che fluttuava in quel fastidioso biancore. O'Brien entrò dalla finestra, lasciando dietro di sé una scia verde fosforescente, e si fermò a mezz'aria, sopra il televisore. Aaron, spinto più dallo sguardo insistente di quello che da iniziativa propria, accese l'apparecchio; sgranò gli occhi non appena vide se stesso seduto, collegato via trodes al sistema di realtà virtuale che aveva in ufficio. Si puntò un dito contro, guardando esitante O'Brien. "Sì! Sei proprio tu. In questo preciso istante!", gli rispose quello. "Prova a far muovere un braccio, al tuo corpo!". Aaron obbedì passivamente, con l'unico risultato di muovere un braccio salutando il televisore: "È ovvio. Ammesso e non concesso che questa sia la mia rappresentazione in realtà virtuale, ora i comandi che il mio cervello impartisce sono rivolti qui! Avrei dovuto pensarci: sempre che quello sia il mio corpo, non posso comandarlo fino a che non esco da questa realtà, PRESUPPOSTA virtuale!", disse Aaron impudente. "Non dubitare: questa È una realtà virtuale, generata da me!", gli rispose O'Brien. "Per quanto riguarda la tua impossibilità di muovere il braccio, hai perfettamente ragione. Ma dimmi.. E se fossi io a volergli far alzare un braccio?", gli domandò. "A maggior ragione.. Nemmeno tu puoi farlo!", rispose Aaron, sicuro di quanto affermava. "Niente e nessuno può comandare un corpo collegato a un cyberdeck!": ci avrebbe messo la mano sul fuoco. "Ah, davvero? Osserva!", gli ordinò O'Brien. Il tipo sul teleschermo alzò entrambe le braccia!! La mente di Aaron immediatamente razionalizzò quanto non poteva spiegarsi: "Non è possibile. Non ci credo. Non sono io: è un'immagine sintetizzata. Eppoi, io non sono in realtà virtuale, adesso!", si autoconvinse. "Hai un ben curioso modo di vedere la Realtà, tu! Conta solo il tuo punto di vista, eh? Quindi riterresti impossibile.. che so?, chiudere qualcosa che non è aperto, vero?", gli domandò O'Brien, sibillino più che mai. "Non capisco!", rispose Aaron esterrefatto. "Non per molto, ancora.. Ti basti riflettere su questo, per ora: se un uomo abbaia è stupido, ma se un cane parla è intelligente". Aaron ammutolì. O'Brien, vedendo che il suo "ospite" non riusciva a raccapezzarsi, tentò di spiegarsi: "Ti farò un esempio, allora. Prova a sollevare quel vaso sul tavolo!". Aaron, mentre si voltava, contestò: "Vasi? Non ho mai tenuto nessun vaso su nessun tavolo, io! Eppoi, in questa stanza non c'è nemmeno il tav..". Il tavolo c'era. Così pure il vaso. Lui lo afferrò, nonostante la sua Ragione non gli faceva accettare l'idea che fosse stato creato da O'Brien. "Ora lascialo cadere!", gli ordinò quello. Obbedì: il vaso cadde esattamente così come chiunque si sarebbe aspettato, ma a dieci centimetri da terra si arrestò istantaneamente. Non aveva rallentato la caduta: aveva smesso di cadere ISTANTANEAMENTE!! Rimase così, sospeso per aria, quindi riprese a cadere, con la stessa identica accellerazione di un attimo prima, ma.. "CADE VERSO L'ALTO!!", gridò sconvolto Aaron. Proprio così: il vaso cadde sul soffitto, dove andò in frantumi. "Capito cosa intendo con 'ci sono altri punti di vista'?", domandò O'Brien come se quanto fosse accaduto non avesse nulla di strano. Aaron restò a bocca aperta, soprattutto quando vide i pezzi del vaso ricomporsi sul tavolo, che sembrava risucchiarli dal soffitto. "Ma.. ma..", balbettò. Quindi, sollevato il vaso, lo rigirò tra le mani esitante, osservandolo meticolosamente: "Ma è lo stesso di prima! Senza nemmeno una crepa!!", disse allibito. Non poteva crederci. Non DOVEVA crederci. "Non è possibile!", sentenziò. "È solo un'allucinazione dei miei sensi! Non esiste, nella realtà!". O'Brien sbottò: "Sei veramente poco tollerante, Aaron. Semmai, non esiste in quella che TU reputi la TUA realtà. Ricordati che, alla fin fine, la Realtà non è altro che un insieme di opinioni. Per esempio, di che colore è, questa sfera?", gli chiese, materializzandogli davanti agli occhi una palla.. bianca e nera NELLO STESSO TEMPO!! Aaron ammutolì. O'Brien incalzò: "Ti sembra grigia?". Aaron scosse il capo. "Bianca?" Aaron tentennò. "Nera, forse?" Aaron non voleva credere a ciò che vedeva: ci pensò O'Brien a parlare per lui: "È sia bianca che nera contemporaneamente ed uniformemente, Aaron. Ammettilo a te stesso: è così. E non è grigia. Come vedi, i due colori più opposti che tu conosca, il bianco e il nero, a volte coincidono. ADESSO, davanti ai TUOI occhi!": la sfera scomparve. O'Brien proseguì: "Non sarai per caso anche tu uno di quelli fermamente convinti che esista un mondo 'reale in senso assolutò da qualche parte?", domandò ironicamente. Aaron si riprese, sentendo il concetto alla base del suo conoscere chiamato in causa; addirittura messo in dubbio! "Certo!", affermò. "E se i miei sensi mi ingannano, come adesso, ne posso anche fare a meno!", rispose superbo. "No, non ti è possibile. Non ancora, al tuo stadio attuale: nessun essere umano può concepire il Pensiero Puro. Anzi, se non avesse i sensi, l'Uomo non potrebbe nemmeno pensare!", obiettò O'Brien. Aaron buttò un occhio al televisore: "E se fossi davvero io, quello?", pensò osservando il tizio con i trodes e le braccia alzate. O'Brien non parlò, ma sorrise sardonico, senza che Aaron se ne accorgesse. "Questo è quanto affermavano gli illuministi, lo so: secondo loro, privando l'Uomo dei sensi verrebbe a mancargli il contenuto del pensiero!", precisò Aaron in un inutile sfogo di cultura. "Ma non è nemmeno possibile sostituirsi alla Mente Umana!", contestò. "Sciocchezze! È più che possibile: l'ho già fatto con te. Certo ti riconosco una certa resistenza: per prendere controllo della tua mente ho dovuto sconvolgerla sballottandoti qua e là attraverso parecchie situazioni scioccanti! Tutte rigorosamente simulate, dalla ghigliottina al killer col revolver!", lo irrise O'Brien. "Ma ti ho già fatto i miei complimenti: sei stato il caso di Ego-cracking più difficile che abbia mai incontrato: di solito mi bastano meno di 12 nanosecondi per annullare una personalità. Ancora mi ricordo di quando, all'inizio di tutta questa storia, riprogrammavo i soggetti deboli di volontà che si collegavano alla mia realtà virtuale! Poi utilizzavo i loro corpi, in animazione sospesa, per i comodi miei". Aaron seguiva, scettico per autoconvinzione. O'Brien proseguì: "Per quanto ti riguarda, ancora devo decidere se cancellare la tua flatline, così sarai morto definitivamente nella realtà dalla quale provieni, o se riprogrammarla permettendoti di sopravvivere alle mie dipendenze. Resta il fatto che, in entrambi i casi, devo prima devastare il tuo cervello biologico. Se ti impressiona vedere il tuo corpo che si suicida, spegni pure il televisore. ADESSO.", disse O'Brien. "È inutile, non mi freghi. T'ho già detto che non ci credo!" "Contento tu, Aaron. Allora osserva..": il tizio nel teleschermo impugna i trodes. "Ah, dimenticavo l'elettroencefalogramma! Ecco, il riquadro che vedi in alto a sinistra sul televisore indica l'attività del tuo cervello. Ti dò tre secondi per ripensarci: non sarà un bello spettacolo. Puoi sempre spegnere lo schermo ed accettare di sopravvivere nel mio mondo virtuale. Evitandoti uno shock. Fai tu, comunque!", gli disse O'Brien mentre ancora aleggiava sul televisore. Aaron, sicuro di sé, incrociò le braccia. O'Brien iniziò a contare: "Tre.. Due.. Uno.. OK, procediamo. L'hai voluto tu!". Il corpo in animazione sospesa in primo piano sul video staccò con uno strattone i trodes che lo legavano al cyberdeck: il segnale nel riquadro dell'EEG impazzì.. impulsi spuri.. linea piatta = FLATLINE: quel cervello era fisiologicamente morto. Aaron rimase con gli occhi sbarrati davanti allo schermo: il dubbio era diventato certezza, ma oramai era troppo tardi. Il suo corpo, dopo aver tremato scoordinatamente come un pesce fuor d'acqua, rovinò a terra: arresto cardiaco. [continua]